La pubblica udienza negata in Commissione Tributaria
Il Presidente dell’ANC fa rilevare la violazione del diritto alla pubblica udienza, le memorie difensive ignorate possono aprire la strada alle azioni di responsabilità contri i giudici tributari
Nonostante l’art. 27 D.L.137/2020 preveda che le udienze possono essere svolte da remoto, e che questo diritto direttamente rilevabile, che dall’art. 33 del dlg 546/92 è riconosciuto ai ricorrenti, la Giustizia Tributaria in totale disallineamento con le altre giurisdizioni non ha ancora attuato una piattaforma digitale tale da poter svolgere le udienze da Remoto.
Per le udienze fissate dopo il 29 ottobre 2020, qualora sia già stata chiesta la pubblica udienza, le commissioni stanno in pratica invitando i contribuenti a percorrere due strade, rinunciare alla pubblica udienza, con possibilità di scambio memorie scritte oppure non rinunciare e quindi causare l’automatico rinvio dell’udienze al 2021. In assenza di termini espressamente concessi, però, sarà bene confermare la richiesta di trattazione scritta entro 2 giorni liberi dalla data di udienza, in modo da recuperare la trattazione scritta.
La scelta strategica, tra accontentarsi della difesa scritta e oppure causare il rinvio spetta a noi difensori, se l’ufficio agenzia entrate riscossione ad esempio non si è costituito e non ha depositato la prova delle notifiche, sarebbe stupido causare il rinvio, quindi conviene discutere con memorie scritte. Per gli altri casi bisogna valutare per ogni singola causa, tenendo presente, che purtroppo, spesso i giudici le memorie difensive le ignorano completamente e quindi il diritto ad essere ascoltati può essere vitale per il nostro assistito.
Non è raro tra l’altro anche trovarsi in pubblica udienza, parlare con la commissione e il relatore che candidamente chatta con il cellulare senza nemmeno sentire cosa sta dicendo il difensore.
Il mio sia chiaro non è un attacco ai giudici tributari, molti di loro sono attenti, competenti e valutano bene le prove, ma ci sono altrettanti soggetti, che non leggono i documenti, spesso dalle relazioni si capisce, che hanno capito poco o niente oppure, non hanno letto nulla, quando la relazione viene addirittura omessa.
Proprio in questa fase dove la pubblica udienza non è permessa, i giudici tributari dovrebbero stare molto attenti alle memorie difensive, in caso di completa non curanza c’è sempre una strada che nessuno di noi valuta mai che è quella dell’azione di responsabilità nei confronti dei giudici.
La responsabilità civile dei magistrati nell’ambito dell’esercizio delle funzioni giudiziarie è disciplinata dalla legge 117/1988, n. 117 (c.d. “legge Vassalli”).
La legge n. 117/1988 prevede, all’art. 2, che chiunque abbia subito un danno ingiusto, a causa di un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali” (ex art. 2, comma 1).
Con la riforma, il Legislatore ha provveduto a ridisegnare le fattispecie di colpa grave, novellando l’intero comma 3 e aggiungendo un comma 3-bis all’art. 2 della legge Vassalli.
In particolare, prendendo spunto dalle indicazioni emerse dalla giurisprudenza, secondo la quale, la colpa grave si concretizza in una violazione “grossolana e macroscopica della norma, in una lettura contrastante con ogni criterio logico, che comporta l’adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore, la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo e lo sconfinamento dell’interpretazione nel diritto libero”, il legislatore del 2015 ha soppresso innanzitutto sulla “negligenza inescusabile” prima previsto, stabilendo che i comportamenti dei magistrati che rientrano nelle ipotesi di colpa grave sono tali ope legis.
1. Il travisamento del fatto o delle prove
L’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento, o, viceversa, la negazione di un fatto incontrastabilmente esistente (caso classico è emettere una sentenza con la quale si afferma che le cartelle sono state ritualmente notificate e quindi che l’ipoteca è valida, nonostante l’ufficio non si sia costituito e nulla fosse stato depositato, ho una sentenza in tal senso)
L’emissione di un provvedimento fuori dai casi consentiti dalla legge o senza motivazione (caso classico è il rinvio dell’udienza, senza che nessuno lo abbia richiesto e senza motivazione, emesso ai soli fine di dare più tempo agli uffici di costituirsi)
2. Il diniego di giustizia
L’art. 3 disciplina, il “diniego di giustizia” che dà luogo alla responsabilità civile del magistrato.
Secondo il comma 1, lasciato inalterato dalla riforma, esso si configura nei casi di ritardi, rifiuti oppure omissioni del magistrato nel compimento di uno o più atti di ufficio, quando “trascorso il termine di legge per il compimento dell’atto, la parte ha presentato istanza per ottenere il provvedimento sono decorsi inutilmente, senza giustificato motivo, trenta giorni (5 per le libertà personali) dalla data di deposito in cancelleria”. (caso classico è la ignorata e reiterata istanza di trattazione dell’udienza o di sospensione, quando la causa si protrae per termini insostenibili)
La legge Vassalli prevede l’applicazione della cosiddetta “clausola di salvaguardia” della quale all’articolo 2, comma 2, stabilendo che “non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove”. In questa ipotesi, la tutela delle parti si può attuare attraverso l’impugnazione del provvedimento giurisdizionale che si sostiene essere viziato.
Nonostante si conferisca, il giudice non può essere chiamato a rispondere per l’esercizio dell’attività interpretativa della legge e valutativa del fatto e delle prove, la riforma ha delimitato l’ambito di applicazione della clausola in questione, escludendo dalle ipotesi di irresponsabilità del magistrato, i casi di dolo e colpa grave (ex l. n. 18/2015).
A seguito dell’accertamento della responsabilità del magistrato, ed entro due anni dal risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o stragiudiziale, lo Stato esercita obbligatoriamente l’azione di rivalsa nei confronti dello stesso, ex art. 7, comma 1, l. n. 117/1988, novellato dalla l. n. 18/2015, nel caso di diniego di giustizia, ovvero per violazione manifesta della legge o del diritto dell’Unione Europea nonché per travisamento del fatto o delle prove quando determinati da dolo o negligenza inescusabile.
L’art. 16 comma 4 del DL 119/2018 ha subordinato la possibilità alle udienze da remoto all’emanazione dei provvedimenti attuativi del Direttore generale delle finanze, sentito il Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria e l’Agenzia per l’Italia digitale, necessari per individuare le regole tecnico-operative per la partecipazione all’udienza a distanza, nonché la conservazione della visione delle relative immagini.
Solo il 15 ottobre 2020 la bozza di decreto ha ottenuto il parere favorevole del Garante della privacy, per cui difficilmente si riuscirà a garantire tale diritto ai contribuenti.
Se tutti noi iniziassimo a valutare le azioni di responsabilità dei magistrati e a segnalare determinati comportamenti dei singoli magistrati al Consiglio di Presidenza e soprattutto quando i Presidenti delle Commissioni su nostra segnalazione iniziassero a raddrizzare le cose, potremmo iniziare a cambiare la giustizia tributaria, che si pone già sbilanciata per il semplice fatto che le commissioni dipendono dal Ministero Dell’economia e delle finanze, che certamente non depone bene in termini di imparzialità e di conflitto di interessi.
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