Premessa

Il primo atto della Manovra fiscale di fine anno si è compiuto con la pubblicazione, il 23 ottobre scorso, del Decreto legge n. 119/18 contenente quella che può certamente definirsi la misura più attesa ed elucubrata degli ultimi mesi: la cd. “Pace fiscale”. Un corredo di sanatorie fiscali che, oltre a riproporre, sotto nuova veste, sia la definizione delle liti pendenti che la rottamazione dei ruoli, racchiude nuove misure volte ad agevolare una platea sempre più ampia di contribuenti.

In attesa che si compia l’iter di conversione, ormai arrivato alla battuta di arresto dopo che – il 30 novembre scorso – il Senato ha trasmetto il Disegno di legge emendato alla VI Commissione Finanze, è utile delineare l’attuale (e non definitivo) quadro normativo tracciato dal Decreto bollinato in attesa del prossimo 22 dicembre.

 

Definizione dei processi verbali di constatazione

L’art. 1 del Decreto legge introduce la “Definizione agevolata dei processi verbali di constatazione” che consente al contribuente di definire le contestazioni contenute nei PVC consegnati entro la data di entrata in vigore del Decreto (24 ottobre 2018) in relazione ai quali, alla predetta data, non siano stati notificati né avvisi di accertamento né inviti al contraddittorio.

Il perfezionamento avviene mediante presentazione di apposita dichiarazione e con il versamento delle sole imposte derivanti dalle proposte di recupero elevate – al netto quindi di interessi e sanzioni – entro il 31 maggio 2019. In alternativa, al contribuente è concessa la facoltà di avvalersi di una dilazione di massimo venti rate trimestrali consecutive di pari importo, la prima con scadenza alla predetta data e senza possibilità di procedere alla compensazione con propri crediti d’imposta.

Nell’ipotesi di mancato perfezionamento della procedura, viene meno la possibilità di definizione e, conseguentemente, non essendo regolarizzate le violazioni constatate nel verbale, gli Uffici potranno notificare i relativi atti impositivi.

La procedura consente di definire non solo le imposte sui redditi e le relative addizionali ma, altresì, i contributi previdenziali e le ritenute, le imposte sostitutive, l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), l’imposta sul valore aggiunto (IVA), l’imposta sul valore delle attività finanziarie all’estero (IVAFE) e l’imposta sul valore degli immobili all’estero (IVIE).

Menzione speciale merita il comma 9 dell’art. 1, a mente del quale sono prorogati di due anni i termini per l’accertamento relativo ai periodi di imposta fino al 31 dicembre 2015 che siano stati oggetto di processi verbali di constatazione. Nel caso, ad esempio, di un PVC relativo al periodo d’imposta 2013, la mancata adesione alla sanatoria consentirà all’Agenzia delle Entrate l’emissione del relativo accertamento sino al 31 dicembre 2020. Una sorta di “ricatto”, dunque, con il quale il Legislatore, prova a controbilanciare lo scarso appeal della norma dal punto di vista del risparmio.

Analisi

Un primo freno all’appetibilità della procedura, è posto dalla previsione normativa secondo cui l’accesso alla definizione è subordinato all’integrale adesione a tutti i rilievi contenuti nel PVC. In sostanza, è possibile accedere all’istituto in esame e, dunque, ottenere la disapplicazione delle sanzioni e degli interessi connessi ai rilievi, solo aderendo integralmente all’an e al quantum contestato nel PVC. Il Legislatore, dunque, pare non aver tenuto in considerazione la circostanza che spesso, per ragioni di carattere organico o anche meramente temporale, in sede di verifica, i funzionari operanti tendono a “mettere tutto sul piatto”, affidandosi in toto al successivo vaglio critico delle proposte di recupero elevate da parte dell’accertatore. Non è raro, ad esempio, imbattersi ancora oggi in PVC con i quali, a fronte di una contestazione in termini di soggettiva inesistenza di fatture di acquisto, i funzionari verificatori prospettino rettifiche anche ai fini delle imposte dirette; rettifiche, poi, puntualmente annullate in sede di emissione del successivo avviso di accertamento (in applicazione dell’art. 8 del D.L. n. 16/2012). In tali circostanze, dunque, è dato pensare che difficilmente il contribuente possa, anche in astratto, valutare l’adesione alla definizione in parola. Per stimolare la concreta fruibilità dell’istituto, dunque, sarebbe stato più opportuno prevedere la possibilità di una definizione parziale dei singoli rilievi elevati o, quanto meno, considerare una qualche forma di dialogo con l’Agenzia delle Entrare finalizzata all’annullamento delle contestazioni palesemente illegittime.

Non si spiega, inoltre, la scelta di non ammettere al beneficio, altresì, l’utilizzo di eventuali perdite pregresse portate a nuovo, e il pagamento in compensazione con altri crediti vantati dal contribuente nei confronti dell’Erario.

Presta il fianco ad ulteriori critiche, la previsione di una proroga biennale dei termini di accertamento delle contestazioni contenute nei PVC, in relazione ai periodi di imposta fino al 31 dicembre 2015. Tale scelta, infatti, cela non solo una sorta di “ricatto” con cui il Legislatore, in modo maldestro, ha tentato di controbilanciare lo scarso appeal della norma dal punto di vista del risparmio, ma anche una deroga all’articolo 3, comma 1, dello Statuto del Contribuente che dispone l’irretroattività delle norme tributarie.

 

Definizione degli atti di accertamento

L’art. 2 del Decreto, al fine di deflazionare ulteriormente il contenzioso tributario, prevede la possibilità di definire gli avvisi di accertamento, di rettifica e di liquidazione, gli atti di recupero, gli inviti al contradditorio e gli accertamenti con adesione, mediante il pagamento integrale delle maggiori imposte accertate, senza sanzioni, interessi ed eventuali accessori. Non rientrano nel novero degli atti definibili, gli atti di contestazione e quelli di irrogazione sanzioni.

Per poter beneficiare della definizione è necessario che tali atti siano stati notificati entro la data di entrata in vigore del Decreto fiscale (per gli accertamenti con adesione è necessario che la sottoscrizione sia intervenuta entro tale data) e che gli stessi risultino non impugnati e ancora impugnabili.

Il perfezionamento della definizione è subordinato al versamento delle maggiori imposte accertate, al netto di sanzioni e interessi, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del Decreto, ovvero, se più ampio, entro il termine utile per proporre ricorso (art. 2, comma 1). Gli atti di accertamento con adesione sottoscritti anteriormente alla data di entrata in vigore del Decreto, sono definibili mediante il pagamento delle maggiori imposte, da effettuarsi nel termine di 20 giorni decorrente dalla data di entrata in vigore del Decreto.

Analogamente a quanto previsto dall’art. 1, anche per gli atti di accertamento è concesso il pagamento dilazionato in un massimo di 20 rate trimestrali di pari importo ed è espressamente esclusa la compensazione prevista dall’art. 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997. Nei 10 giorni successivi al versamento, il contribuente avrà l’onere di produrre dinanzi all’Ufficio competente, la relativa quietanza.

Decade dal beneficio chiunque ometta il pagamento dell’unica o di una delle rate diverse dalla prima, ciò comportando l’iscrizione a ruolo degli importi residui dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni.

Per espressa previsione del sesto comma dell’art. 2, sono esclusi dalla definizione agevolata gli atti emessi nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria (“voluntary disclosure”).

Modifiche in sede referente

Durante l’esame in Senato, oltre ad alcune irrisorie modifiche formali, è stata avanzata l’introduzione del comma 2-bis con cui sarebbe prorogata al 30 giugno 2022 l’applicazione del c.d. reverse charge (meccanismo dell’inversione contabile “facoltativa” Iva), modificando l’art. 17 del d.P.R. n. 633/1972.

 

Analisi

In primo luogo, appare del tutto ingiustificata la disparità di trattamento nei confronti dei contribuenti più “virtuosi” che abbiano presentato una dichiarazione “fedele” e si siano limitati a non versare il dovuto. Non è dato comprendere, infatti, la ratio sottesa alla mancata previsione della possibilità di sanare gli omessi versamenti oggetto di avvisi bonari ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso il versamento delle sole imposte. Una vera e propria contraddizione con quanto preannunciato in sede elettorale e che, in sostanza, penalizza i contribuenti che hanno correttamente dichiarato i propri imponibili al Fisco e che, forse per ragioni di natura finanziaria, non abbiano potuto effettuare il versamento.

Altro profilo di criticità attiene alla disciplina di definizione degli accertamenti con adesione. La norma si applica ad un numero estremamente limitato di casi, e presenta profili di evidente disparità di trattamento non solo tra i contribuenti che abbiano sottoscritto l’adesione entro la data di entrata in vigore del Decreto e quelli che non abbiano fatto in tempo ma, soprattutto -nell’ambito della prima categoria- tra chi, a seguito della sottoscrizione, non abbia ancora versato (attendendo il termine di 20 giorni normativamente previsto) e chi, pur potendo attendere tale termine, abbia invece deciso di anticipare il versamento. Tali iniquità, del resto, avrebbero potuto essere facilmente evitate prevedendo la disapplicazione di sanzioni e interessi in relazione a tutti i procedimenti di adesione correlati a PVC, inviti al contraddittorio e avvisi di accertamento già notificati alla data di entrata in vigore del Decreto.

Infine, certamente opinabile la volontà di introdurre il comma 2-bis nella disposizione in esame, volta esclusivamente a disciplinare la definizione degli atti del procedimento di accertamento. Sembrerebbe che, con tale modifica, il Legislatore italiano voglia – in virtù della recentissima Direttiva UE 2018/1695 del 6 novembre 2018, che ha prorogato il termine per l’applicazione facoltativa del reverse charge al 30 giugno 2022 – adeguare la normativa italiana alla più recente evoluzione della normativa europea, incastrando tale aggiornamento in una norma che non ha alcun collegamento con l’istituto del reverse charge.

Ricordiamo brevemente in questa sede che l’adempimento dell’imposta secondo il meccanismo dell’inversione contabile, ai sensi dell’articolo 17, comma 4, del d.P.R. n. 633/1972, comporta che gli obblighi relativi all’applicazione dell’IVA debbano essere adempiuti dal soggetto passivo cessionario o committente, in luogo del cedente o del prestatore. In pratica, tale meccanismo, derogando la normale procedura di applicazione dell’Iva secondo il sistema della rivalsa, mira a contrastare le frodi in determinati settori a rischio, evitando che il cessionario detragga l’imposta che il cedente non versa all’Erario.

 

Rottamazione-ter a maglie larghe

Spazio alla terza edizione della definizione agevolata dei ruoli. L’art. 3 del Decreto fiscale introduce, infatti, la rottamazione-ter dei carichi fiscali che, salvo talune novità, ricalca sostanzialmente la sanatoria del 2017.

In particolare, la norma prevede la possibilità di definire i carichi affidati all’agente della riscossione dal primo gennaio 2000 al 31 dicembre 2017, mediante il pagamento, in unica soluzione (entro il 31 luglio 2019) ovvero in un massimo di 10 rate consecutive di pari importo, della quota capitale e degli interessi iscritti a ruolo, al netto di sanzioni e interessi di mora.

Entro il 30 aprile 2019, i contribuenti interessati dovranno presentare la relativa dichiarazione – già predisposta dall’Agenzia delle Entrate Riscossione e scaricabile dal sito istituzionale (modello DA-2018) – alla quale sarà fornito risconto entro il 30 giugno 2019, mediante invio di apposita comunicazione recante l’ammontare complessivo delle somme dovute, nonché -qualora l’interessato abbia optato per la dilazione del pagamento- la data di scadenza di ciascuna rata. Analogamente a quanto previsto per le passate edizioni, la rottamazione è ammessa anche per i carichi oggetto di contenzioso. A tal fine, compilando la dichiarazione di adesione, l’interessato assume l’impegno a rinunciare ai giudizi aventi ad oggetto i carichi che intende definire. L’estinzione della controversia, tuttavia, è espressamente subordinata al perfezionamento della definizione, che si avrà laddove interverrà l’integrale e puntuale versamento degli importi dovuti. I giudizi in corso potranno essere sospesi depositando l’istanza di definizione dinanzi all’autorità competente; qualora quest’ultima non dovesse andare in porto, il Giudice, su segnalazione di una qualsiasi delle parti, procederà alla riattivazione della controversia.

In sostanza, il procedimento di definizione agevolata dei carichi introdotto dal Decreto 2018 si rivela analogo a quello previsto dalle prime due edizioni della rottamazione, ad eccezione:

  1. a) della sensibile estensione dei carichi definibili, a quelli presi in carico nell’ultimo trimestre del 2017;
  2. b) dell’ampliamento dei termini per il versamento dilazionato degli importi dovuti fino ad un massimo di 10 rate semestrali di pari importo, con scadenza al 31 luglio e al 30 novembre di ciascun anno: in sintesi, nell’ipotesi di opzione per il pagamento rateale in 5 anni, il contribuente sarà tenuto a versare nel 2019 una quota pari al 20% del totale dovuto;
  3. c) l’applicazione, ai sensi del comma 3, in caso di pagamento rateale, a far data dal 1° agosto 2019, di un tasso annuo di interesse agevolato del 2%, in luogo del tasso ordinario (per dilazioni di pagamento) del 4,5% (art. 19 del d.P.R. n. 602 del 1973).

Al fine di rendere maggiormente attrattiva la sanatoria, la nuova norma estende l’ambito soggettivo della definizione anche a coloro che abbiano aderito alla rottamazione bis, a condizione che entro il 7 dicembre 2018 risultino versati gli importi dovuti ai fini della seconda rottamazione, non corrisposti alle scadenze previste del 31 luglio, 30 settembre e 31 ottobre 2018. Qualora intervenga il pagamento puntuale dei suddetti importi entro tale data, le restanti somme saranno oggetto di differimento automatico del versamento che potrà avvenire in 10 rate consecutive di pari importo, con scadenza il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a partire dal 2019.

Ed ancora, i debitori che abbiano omesso il regolare e tempestivo pagamento degli importi dovuti ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 193 del 2016 (rottamazione 1.0), nonchè coloro che si siano avvalsi della riapertura dei termini introdotta dalla rottamazione-bis, ma che non abbiano provveduto al pagamento entro il 31 luglio 2018 delle rate previste dai piani di dilazione in essere al 24 ottobre 2016 e scadute il 31 dicembre 2016, sono ammessi al beneficio della nuova definizione agevolata. Al riguardo, la norma non dispone alcun adempimento da parte del contribuente interessato, posto che sarà onere dell’agente della riscossione inviare apposita comunicazione entro il 30 giugno 2019, recante l’esito della richiesta di definizione unitamente ai bollettini precompilati per il pagamento degli importi dovuti alle nuove scadenze.

Diversamente da quanto previsto per la definizione delle liti pendenti, di cui diremo, la rottamazione-ter permette ai contribuenti di utilizzare in compensazione i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili per somministrazioni, forniture, appalti e servizi, maturati nei confronti della Pubblica amministrazione e certificati.

Modifiche in sede referente

Durante l’esame in sede referente sono state avanzate diverse modifiche relative alle modalità di pagamento degli importi dovuti, agli effetti della rottamazione ai fini del rilascio del DURC e agli effetti da tardivo versamento degli importi dovuti.

In relazione al primo aspetto, il Governo avrebbe intenzione di attenuare la pressione fiscale sui contribuenti aumentando il numero massimo di rate consecutive in 18 (non più 10 rate): delle quali, la prima e la seconda di importo pari al dieci per cento delle somme rottamabili; le restanti di pari ammontare.

Al vaglio anche il termine di scadenza delle rate: per le prime due rate resterebbe invariato il termine del 31 luglio e del 30 novembre 2019; per le restanti rate verrebbero fissate la scadenze del 28 febbraio, 31 maggio, 31 luglio e 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2020.

Tra le novità anche la possibilità di ottenere il rilascio del c.d. “DURC” (Documento Unico di Regolarità Contributiva) alla presentazione della domanda di definizione agevolata, a condizione che sussistano tutti gli altri requisiti di regolarità previsti dalla normativa vigente, di cui all’articolo 3 del D.M. 30 gennaio 2015.

Pertanto, il contribuente avrà la possibilità di avanzare, già dalla presentazione della dichiarazione di definizione agevolata, richiesta del DURC con conseguente esito di regolarità nel periodo intercorrente tra la data di presentazione della dichiarazione di adesione e quella di scadenza della prima o unica rata.

Infine, con l’inserimento del nuovo comma 14-bis verrebbero ad essere mitigate le conseguenze del ritardato versamento delle rate, non producendosi né l’inefficacia della definizione se il ritardo non supera i cinque giorni né la maturazione di interessi.

Analisi

La nuova edizione della sanatoria in commento presenta, senza alcun dubbio, più luci che ombre. È parsa una scelta opportuna, quella di prevedere condizioni più sostenibili rispetto al passato quali, la concessione di un termine massimo quinquennale per l’adempimento, la facoltà di compensare i crediti maturati nei confronti della Pubblica Amministrazione (ove si scelga di pagare presso gli sportelli dell’agente della riscossione) e la sensibile riduzione del tasso d’interesse.

Residuano, tuttavia, taluni aspetti poco chiari. Sarebbe risultato, magari, più equo estendere l’ambito applicativo della definizione anche ai carichi affidati nel corso del 2018, fino all’entrata in vigore del Decreto, analogamente a quanto avvenuto con la rottamazione bis. Non giustificate, poi, appaiono le limitazioni alla possibilità di procedere al pagamento con crediti vantati nei confronti del medesimo ente creditore, titolare del ruolo, senza limitazioni quantitative od anche con crediti relativi a imposte diverse da quella oggetto di definizione.

Desta stupore, inoltre, specie alla luce dei proclami elettorali, la mancata previsione di uno stralcio del carico impositivo per i soggetti versanti in una situazione di comprovata difficoltà finanziaria che abbiano fedelmente dichiarato quanto dovuto, senza poi riuscire a far fronte agli impegni fiscali.

Tuttavia, risultano apprezzabili gli emendamenti approvati in Senato: l’aumento del numero massimo di rate ed il lieve inadempimento renderanno la rottamazione più appetibile agli occhi dei contribuenti.

Sul punto, occorre ricordare che in tutte le precedenti versioni della rottamazione, non risultando applicabile l’istituto del lieve inadempimento ex art. 15-ter del d.P.R. n. 602/1973, era sufficiente pagare in ritardo anche di un solo giorno per decadere irreversibilmente dai benefici di legge.

 

Stralcio dei “mini ruoli”.

Colpo di spugna per i debiti più datati. Il Decreto fiscale introduce, di fatto, una norma “svuota magazzino” (art. 4) con cui è disposto lo stralcio automatico degli importi a ruolo residui non superiori ai mille euro, relativi a carichi affidati all’agente della riscossione dal primo gennaio 2000 al 31 dicembre 2010. La norma in esame commisura il limite di 1.000 euro non già all’importo complessivo della cartella, ma ai “singoli carichi” affidati all’agente della riscossione dal 2000 al 2010, a prescindere dal debito fiscale complessivo in capo al singolo contribuente.

Nessun adempimento è richiesto all’interessato, in quanto sarà compito dell’amministrazione procedere all’annullamento dei debiti e al conseguente invio della relativa comunicazione agli interessati.

Gli importi versati anteriormente alla data di entrata in vigore del Decreto resteranno definitivamente acquisiti, e non saranno restituibili. Di contro, le somme versate a far data dall’entrata in vigore del Decreto verranno imputate per il pagamento degli ulteriori debiti eventualmente inclusi nella definizione agevolata anteriormente al versamento, ovvero, in mancanza, a debiti scaduti o in scadenza. Qualora non risultino debiti in capo al contribuente, le somme versate saranno rimborsate ai sensi dell’art. 22, commi 1-bis, 1-ter e 1-quater del d.lgs. n. 112/1999. A tal fine, l’agente della riscossione richiede all’ente creditore la restituzione delle somme riscosse dalla data di entrata in vigore del Decreto. Trascorsi inutilmente 90 giorni dalla richiesta di rimborso, sarà l’agente della riscossione a compensare il relativo importo con le somme da riversare.

In tal modo il Legislatore mira ad eliminare i costi amministrativi che deriverebbero dal recupero dei crediti più esigui e prossimi alla prescrizione.

Analisi

La previsione dello stralcio dei mini-crediti per i quali le attività di recupero siano iniziate da 8 ai 18 anni fa, consegue ad una valutazione di opportunità operata dal Legislatore: la prosecuzione delle attività di riscossione determinerebbe costi maggiori in proporzione all’importo oggettivamente riscuotibile. La portata della disposizione, tuttavia, potrebbe risultare più ampia del previsto, coinvolgendo un numero elevato di partite debitorie, in gran parte di pertinenza dei Comuni, che potrebbe avere un impatto considerevole sui bilanci di tali enti locali.

Inoltre, a ben guardare, lo stralcio in questione se, da un lato, farà tirare un sospiro di sollievo ai contribuenti, dall’altro, non rappresenta una valida soluzione allo stato di difficoltà economica in cui versano gli stessi, in special modo gli operatori economici che, soventemente, rinviano il pagamento dei tributi a momenti successivi privilegiando il pagamento delle retribuzioni dei dipendenti.

 

Definizione delle liti pendenti.

Una delle novità più interessanti per gli operatori consiste nella reintroduzione, ad opera dell’art. 6, della cd. definizione delle liti tributarie pendenti in ogni stato e grado di giudizio (dunque, anche in cassazione e a seguito di rinvio) alla data di entrata in vigore del Decreto ed in cui è controparte l’Agenzia delle Entrate (art. 6). Sono espressamente escluse dall’ambito di applicazione, i giudizi aventi ad oggetto atti privi di natura impositiva: avvisi di liquidazione, intimazioni di pagamento e altri atti di riscossione.

L’accesso alla definizione è subordinato alla notificazione del ricorso introduttivo all’Agenzia delle Entrata entro la data di entrata in vigore del Decreto fiscale.

Le controversie potranno essere definite, su richiesta del ricorrente o, in alternativa, da chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, mediante il pagamento di un importo pari al valore della controversia (calcolato ai sensi dell’articolo 12, comma 2, D.lgs. 546/92), vale a dire pari all’importo richiesto a titolo di imposte al netto di interessi e sanzioni. Tuttavia, la norma prevede che per le ipotesi di soccombenza dell’Ufficio nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale depositata entro la data di entrata in vigore del Decreto, le controversie possano definirsi versando il 50% del valore della controversia, in caso di soccombenza in primo grado, ovvero, il 20% del valore della controversia, in caso di soccombenza in secondo grado.

Le controversie afferenti esclusivamente le sanzioni tributarie non collegate al tributo, ovvero non proporzionali a quest’ultimo, possono essere definite pagando il 15% delle sanzioni, in caso di soccombenza dell’Ufficio nell’ultima pronuncia depositata alla data di entrata in vigore del Decreto, ovvero, il 40% negli altri casi.

Restano al di fuori del perimetro della sanatoria, le controversie relative alle risorse proprie tradizionali Ue (i.e. dazi doganali), all’Iva riscossa all’importazione, o a somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato.

Stando a quanto riportato nella Relazione tecnica al Decreto, nelle ipotesi di soccombenza parziale le percentuali sopra indicate si applicano solo sulla parte di valore della controversia in relazione alla quale l’Agenzia sia risultata soccombente.

La definizione si perfeziona con la presentazione della relativa domanda (una per ciascun atto impugnato) e con il pagamento degli importi dovuti o della prima rata entro il 31 maggio 2019. Qualora non risultino importi dovuti, il perfezionamento avviene con la sola presentazione della domanda; mentre, laddove le somme interessate dalla controversia definibile siano oggetto di rottamazione bis, il perfezionamento è subordinato al versamento degli importi dovuti entro il 7 dicembre 2018.

È previsto il pagamento rateizzato in un massimo di 20 rate trimestrali con esclusione della possibilità di compensazione ai sensi dell’articolo 17 del D.lgs. 241/1997. Gli importi già versati in pendenza di giudizio a qualsiasi titolo, si scomputano da quelli dovuti ai fini della definizione.

La sospensione delle controversie definibili non opera automaticamente, in quanto è necessario che l’interessato presenti apposita richiesta dinanzi al Giudice competente, nella quale dichiari l’intento di avvalersi della definizione agevolata; in tal caso il processo è sospeso fino al 10 giugno 2019.

La sospensione è prorogata al 31 dicembre 2020 qualora, entro il 10 giugno 2019, il contribuente depositi copia della domanda di definizione unitamente alla quietanza di versamento degli importi dovuti.

Per le controversie definibili, la norma prevede la sospensione di 9 mesi dei termini di impugnazione, anche incidentale, di riassunzione e di proposizione del controricorso in Cassazione, in scadenza tra la data entrata in vigore del Decreto e il 31 luglio 2019. Ai sensi del comma 12 dell’art. 6, l’eventuale diniego alla definizione dovrà essere comunicato entro il 31 luglio 2020 e sarà impugnabile entro 60 giorni dalla comunicazione, dinanzi all’autorità presso la quale pende la controversia.

Il processo si estingue qualora la parte interessata non produca istanza di trattazione entro il 31 dicembre 2020. Nell’ipotesi in cui la controversia non risulti definibile, l’impugnazione della pronuncia giurisdizionale e del diniego alla definizione valgono anche come istanza di trattazione.

Modifiche in sede referente

La prima novità è rinvenibile nell’introduzione del comma 1-bis, in base al quale sarebbe possibile definire, con il pagamento del 90% del maggior tributo richiesto, i ricorsi pendenti in primo grado su cui i giudici non si siano ancora pronunciati.

Per rendere più allettante la definizione, verrebbero ridotti anche gli  importi da versare in caso di soccombenza totale dell’Agenzia delle Entrate nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale depositata entro la data di entrata in vigore del Decreto: 40% (in luogo della metà) del valore della lite, in caso di soccombenza in primo grado, ovvero, il 15% (in luogo del 20%) del valore della controversia, in caso di soccombenza in secondo grado.

Nelle ipotesi, invece, di accoglimento parziale del ricorso o soccombenza reciproca, sarebbe possibile accedere alla definizione con il pagamento dell’importo del tributo -al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni- dovuto interamente per la parte di atto confermata e in misura ridotta -40% o 15%- per la parte di atto annullata (come proposto dall’ANTI, l’Associazione nazionale tributaristi italiani).

Nelle cause pendenti innanzi alla Corte di Cassazione alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, per le quali l’Agenzia delle Entrate sia risultata soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio, il contribuente potrebbe pagare un importo pari al 5% del relativo valore.

Infine, verrebbe data agli Enti locali la possibilità di applicare -con apposita decisione da prendere antro il 31 marzo 2019- le disposizioni sulla definizione agevolata alle controversie tributarie in cui risultino parti i medesimi Enti o un loro ente strumentale.

Analisi

Apprezzabile, in primo luogo, appare la scelta del Legislatore di discostarsi dalla precedente edizioni della sanatoria, parametrando il dovuto sulla base degli esiti intermedi del contenzioso.

Se le modifiche proposte ottenessero piena approvazione, inoltre, verrebbero meno talune perplessità relative alla nativa formulazione della norma che nulla prevede in caso di soccombenza dell’Erario sia in primo grado che in secondo grado (c.d. “doppia conforme”).

Al riguardo, con l’emendamento al vaglio della Commissione Finanze, potrebbe esser data una risposta positiva all’appello avanzato dall’Associazione nazionale tributaristi italiani (ANTI), con cui si caldeggiava una riduzione della percentuale d’imposta da corrispondere per la definizione in caso di “doppia conforme”.

Allo stesso tempo, però, appare contestabile l’omessa previsione -anche in sede referente- di una decurtazione specifica nelle ipotesi di rinvio. Allo stato, infatti, nel caso in cui il contribuente abbia ottenuto una pronuncia favorevole della Corte di Cassazione, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale, per definire la controversia dovrebbe versare lo stesso importo che verserebbe in primo grado di giudizio.

Opinabile, infine, la previsione di non ammettere il rimborso delle somme già versate, a titolo di riscossione provvisoria, eccedenti rispetto a quanto dovuto per la definizione. Specie con riferimento alle cause pendenti in appello o innanzi alla Corte di Cassazione, è verosimile che il contribuente abbia già versato più di quanto dovuto complessivamente a titolo di maggiori imposte: in tali circostanze, infatti, la definizione risulterebbe, in pratica, sconveniente. Analogo discorso varrebbe per coloro che abbiano optato per la definizione delle sole sanzioni con il versamento di un terzo delle stesse, a norma dell’art. 17 del D.Lgs. n. 472 del 1997.

Dichiarazione integrativa speciale.

L’art. 9 del Decreto fiscale prevede, nella sua formulazione originaria, la possibilità di correggere errori od omissioni integrando, mediante invio di una “dichiarazione integrativa speciale”, le dichiarazioni fiscali presentate entro il 31 ottobre 2017 (relative agli anni di imposta dal 2013 al 2016) ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive di quelle sui redditi, delle ritenute, dei contributi previdenziali, dell’IRAP e dell’IVA.

In particolare, è ammessa l’integrazione dell’imponibile nel limite di 100.000 euro annui e comunque non oltre il 30% di quanto già dichiarato, mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva pari al 20% a titolo di maggiori imposte, sanzioni e interessi.

Tale “doppio” limite, invero, opera disgiuntamente, posto che il limite massimo di 100.000 euro è valevole esclusivamente per i contribuenti che hanno dichiarato un imponibile di oltre euro 333.334 euro (il 30% di 333.334 è, infatti, 100.000 euro). Dal momento che il limite percentuale avrebbe finito col disincentivare l’integrazione per i redditi più esigui, il Legislatore ha previsto che nei casi di imponibile minore di 100.000 euro, nonché nelle ipotesi di dichiarazione senza debito di imposta per perdite di cui agli articoli 8 e 84 del TUIR, l’integrazione degli imponibili sia comunque ammessa fino a 30.000 euro, a prescindere dalla capienza percentuale (comma 1).

Affinché la sanatoria si perfezioni occorre, oltre all’invio della dichiarazione integrativa, altresì provvedere al versamento del dovuto in unica soluzione entro il 31 luglio 2019, ovvero in 10 rate semestrali di pari importo a partire dal 30 settembre 2019. È esclusa la possibilità di compensazione.

La norma, infine, prevede talune ipotesi di esclusione dalla sanatoria. In particolare, non accedono al beneficio: i contribuenti che non abbiano presentato le dichiarazioni fiscali anche solo per uno degli periodi di imposta dal 2013 al 2016; coloro che presentano la richiesta di integrazione dopo aver avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche, inviti o questionari o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, per violazione di norme tributarie; i contribuenti titolari di redditi di fonte estera che abbiano omesso, in tutto o in parte, di indicare gli stessi in dichiarazione.

Modifiche in sede referente

Senza alcun dubbio, la proposta di cancellare e sostituire l’articolo 9 rientra tra le novità più rilevanti dell’emendamento omnibus.

Infatti, l’art. 9 del Decreto fiscale, interamente riscritto, prevedrebbe la possibilità di correggere le irregolarità, le infrazioni e le inosservanze di obblighi o adempimenti, di natura formale, che non rilevano sulla determinazione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi, ai fini dell’IVA e dell’IRAP e sul pagamento dei tributi, commesse fino al 24 ottobre 2018.

Si spazzerebbe via la possibilità di inviare la sopracitata “dichiarazione integrativa speciale” e di pagare un’imposta sostitutiva del 20%, dando al contribuente la possibilità di versare, per ciascun periodo di imposta cui si riferiscono le violazioni, un “forfait” di 200 euro da eseguire in due rate di pari importo, la prima entro il 31 maggio 2019 e la seconda entro il 2 marzo 2020.

Tale regolarizzazione non sarebbe applicabile agli atti di contestazione o irrogazione delle sanzioni emessi nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria (c.d. “voluntary disclosure”), all’emersione di attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori dal territorio dello Stato e alle violazioni formali già contestate in atti divenuti definitivi alla data di entrata in vigore della disposizione.

Al comma 6, inoltre, al fine di indurre i contribuenti a regolarizzare la propria posizione, verrebbe ad essere introdotto un altro “ricatto” dal parte del Legislatore, prevedendo, con riferimento alle violazioni commesse fino al 31 dicembre 2015 ed oggetto di processo verbale di constatazione, una proroga di due anni dei termini entro i quali irrogare le sanzioni.

Analisi

A rischio, quindi, il condono che permette di regolarizzare il non dichiarato fino a 100.000 euro all’anno versando un’imposta sostitutiva del 20%.

La dichiarazione integrativa, se confermata, consentirebbe ai contribuenti di dichiarare i redditi omessi nelle precedenti dichiarazioni con il pagamento di un’aliquota inferiore a quella ordinaria e proprio tale circostanza ha fatto emergere non poche critiche sulla possibile incostituzionalità della misura.

Un rischio che il Governo vuole evitare, cancellando ogni ipotesi di condono e sostituendo la misura de qua con la sanatoria sugli errori formali nelle dichiarazioni regolarmente presentate.

Tuttavia, anche nella remota ipotesi in cui il Governo decidesse di mantenere la “dichiarazione integrativa”, la formulazione dell’art. 9 del D.L. n. 119 del 2018 non sarebbe scevra da profili di ambiguità. Saranno necessari chiarimenti ministeriali, ad esempio, in ordine ai limiti quantitativi previsti dalla norma nonché in relazione alle modalità di integrazione esperibili dalle società di persone/società di capitali trasparenti/associazioni e i loro soci/associati. Parimenti, sarebbero auspicabili delucidazioni in merito all’effettiva portata della preclusione prevista per il caso di omessa presentazione della dichiarazione relativa ai periodi di imposta dal 2013 al 2016 e in ordine ai risvolti penali conseguenti alla presentazione dell’integrativa speciale.